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Una scuola emozionante

Pubblicato il: 01/09/2009 15:35:39 -


La scuola è un'impronta sul corso della storia di ognuno di noi. Per questo dobbiamo prendercene cura.
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Vogliamo una scuola sicura di sé e che si circondi sempre di attori ispiratori. Perché è una impronta sul corso della storia di ognuno di noi. Ricca di valori emotivi. Senza il fugace e intenso stimolo delle emozioni, la ragione si indebolisce e viene meno. Che spreco! Le emozioni sono una concreta opportunità, sono sempre lì, in attesa di generare nuove idee, esperienze, aspirazioni. Pensiamo agli spot: la loro insistenza sul mistero, la sensualità. L’intimità. Dobbiamo fare più pubblicità ai nostri ideali, portanti. Pensiamo alla noia mortale di tutti quei casi in cui siamo troppo leggeri nelle aule scolastiche. Da intendersi nel senso che suggeriva Moravia: la noia è l’assenza di rapporti tra le cose. E quante volte il docente lascia che una materia perda il gusto della complessità e del contatto, mancando proprio all’obiettivo di indirizzo? O peggio, pericolosissima l’idea che abbiamo fatto passare: con i doveri nella settimana ma nelle feste è possibile sbandare un pò. Allora una scuola che recupera, che sa esserci nel momento delle scelte sarà quella che tenta, che ti tenta, che ce la fa ad essere in cima ai tuoi pensieri. Oggi una scuola che volesse essere di risposta sociale forse stravolgerebbe gli orari del suo palinsesto. Perché l’obiettivo sono i risultati scolastici, lo sviluppo del carattere è il mezzo. Porta al coinvolgimento civico. Il clima emotivo, la vivacità di spirito prepara la propria efficacia, coinvolge e aumenta le interazioni sociali. Dobbiamo mirare a una scuola che pretenda dai suoi studenti. Che pretenda insegnanti e allievi, cittadini impegnati.

Il Draghi che ho incontrato tra i fogli di Guido Calogero scriveva cose bellissime e durissime sullo spirito della nostra scuola, che ancora controlla e giudica e boccia più che educare e aiutare e incoraggiare: una scuola dove il timore guasta gli studi, la sovrabbondanza li proibisce, il metodo li rende odiosi, e la realtà li fa dimenticare.

Le materie devono diventare l’argomento, in questa accezione, il momento di socializzazione; la letteratura, anche la musica e l’educazione fisica, questa da intendersi sempre più come sport, in un periodo in cui invece l’assenza di strutture e di spazi l’hanno trasformata in un’ora vuota. Perché le competenze, termine di cui ormai non fanno a meno gli esperti del settore, contano e come anche in queste materie, mi spiego: sapere o non saper fare uno sport significa anche impostare le ore del tempo libero, delle vacanze in un modo o in un altro, immaginate come una passione sana possa salvare, dall’incontro con l’alcol, dalla stanze piene di fumo, dalle gite: “distruzione”. Un apostrofo diverso dobbiamo restituirlo alla formazione, all’istruzione appunto. Pensate quanto sia assurdo che l’Italia sia nell’immaginario collettivo all’estero tra i principali esponenti della musica classica e i nostri studenti disconoscono qualsiasi opera mentre alla seconda nota chiunque sa il titolo, il testo, l’opera completa dei brani da karaoke. Forse l’appuntamento alla Scala dovrebbe essere integrato nel progetto formativo. Magari potremmo pensare che a stare al cuore della scuola e dei suoi operatori debba essere questo: come si comportano i propri studenti fuori, una volta immessi nel reale, i loro stili di vita, i loro consumi culturali, le loro frequentazioni con la cultura, la loro percezione dei luoghi sacri del sapere. Le biblioteche, i teatri, i musei, persino i libri, sono le “ambasciate” di uno studente. Ma sono sempre accessibili?

Benedetta Cosmi

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